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LA STORIA VOCAZIONALE DI PIO DA PIETRELCINA




LA STORIA VOCAZIONALE DI PIO DA PIETRELCINA
Ogni progetto di Dio, ogni suo intervento di grazia nel tempo, ogni suo tentativo di beneficare l’uomo con le iniziative del suo amore misericordioso, è sempre, come ci insegna la Storia della Salvezza, mediato da strumenti da Lui prescelti. In questo si può notare la grande umiltà di Dio, dinanzi alla cui contemplazione Francesco d’Assisi, riferendosi all’Eucaristia, si stupiva ed esclamava: «Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori!» .
Il nostro Dio è un Dio umile, che non disdegna, ma anzi vuole che l’uomo collabori ai suoi progetti di amore sui suoi figli. Per questo, in diverse maniere, chiede la cooperazione della sua creatura, con discrezione, non perché Egli ne necessiti, dato che può tutto, ma perché il suo amore sa che l’uomo, rendendosi coadiutore di Dio, acquista meriti dinanzi a Lui e viene elevato ad una dignità sublime che lo fa, nonostante sia infinitamente piccolo dinanzi a Dio, partecipe della sua onnipotenza. È su questo principio che si basa la teologia dell’Incarnazione, riscoperta specialmente durante il Concilio Vaticano I: Dio si fa “carne”, si fa storia e usa la disponibilità di uomini di ogni tempo per essere sempre il Dio con noi, Colui che cammina con noi, che ci sostiene e non si stanca di portarci alla salvezza nel suo Figlio Gesù. Ne troviamo innumerevoli esempi nella Scrittura: i Patriarchi, i Profeti come Mosè ed Elia, Giovanni Battista, Maria Santissima, ma il Modello per eccellenza è ovviamente l’Uomo-Dio, Cristo Gesù. In Gesù, come dice san Paolo, non c’è insieme il “si“ e il “no”, ma soltanto il “si” ; Egli è infatti l’Amen al Padre da parte di ogni uomo, e nello stesso tempo l’Amen del Padre alla salvezza dell’umanità. Nel suo Amen a Dio trovano merito e valore tutti i “si” che vengono pronunciati da labbra e vite umane.
Proprio la disponibilità incondizionata di Cristo al divino progetto si riflette in altri testimoni prescelti, tra questi la prima è certamente la Vergine santissima, la cui vita è stata tutta un Amen, un “si” pieno e costante al volere di Dio. Nella serie di questi “eccomi!” si inserisce anche quello di Francesco Forgione, nato da umile famiglia contadina, nel piccolo paese sannita di Pietrelcina, il quale sin da tenera età si pone in ascolto della Volontà del Signore.
All’inizio di quest’anno sacerdotale, segnato anche dalle parole di Benedetto XVI – il quale nella visita a San Giovanni Rotondo del 21 giugno scorso l’ha additato come modello di sacerdozio ministeriale – ci impegniamo a cercare le origini della chiamata del Pietrelcinese. La storia vocazionale di padre Pio è intessuta, da una parte, da scene di vita quotidiana, semplice, genuina e ordinaria, e dall’altra vi troviamo brani autobiografici che preludono misticamente ad un futuro straordinario, ad un disegno di Dio unico, di portata internazionale, che si concretizzerà nella storia, ma le cui ripercussione benefiche andranno al di là del tempo. In questa prima parte del nostro lavoro esporremo l’aspetto ordinario della storia vocazionale di padre Pio, affascinante, direi quasi tenero, che lancia uno sguardo di fede anche sulla nostra esistenza, così spesso lontana dalla eccezionalità del Santo di Pietrelcina.
Come diversi pre-adolescenti del suo tempo, il piccolo Francesco, promettendo bene, fa sorgere nella mente di papà Grazio la possibilità che egli studiasse. Leggiamo in proposito quanto testimonia papà Forgione: «Avevo cinque o sei pecorelle per uso famiglia e un giorno, mentre il ragazzo era al pascolo con le pecorelle, mi soffermai a guardarlo […] dissi tra me: “ma guarda un po’, per un pugno di pecore, questo figlio perde la scuola! […] Dissi a Francesco di mandarlo a scuola ma non lo feci. Ma una seconda volta, guardandolo di nuovo al pascolo gli rivolsi la stessa domanda: “Francì, vuoi proprio andare a scuola? Se tu pigli e non fai come tuo fratello [Michele], tata ti fa monaco” . All’origine della sua scelta orientata verso l’Ordine religioso cappuccino vi è l’incontro casuale del piccolo Francesco con un frate questuante, il quale dal convento di Morcone (BN) si spostava nelle campagne del Sannio per l’esercizio del suo ministero fraterno: si tratta di fra Camillo da Sant’Elia a Pianisi, del quale al piccolo Pietrelcinese rimane impressa specialmente la barba .
L’incontro, secondo alcuni biografi, avvenne a Piana Romana, una contrada di Pietrelcina in cui i Forgione possedevano un piccolo podere destinato ai lavori di campagna e alla pastorizia .
Un giorno, infatti, così Francesco espresse il suo desiderio a sua madre: «Ma’, voglio fa’ lu monaco! Sì, monaco di messa, monaco cu la barba» . Cosa lo colpì di fra Camillo? Come potè un frate semplice destare in lui tanta ammirazione da attirarlo nella schiera di san Francesco? Le cronache del tempo descrivono fra Camillo così: «Considerando il suo portamento serio ed edificante dentro e fuori del chiostro, i Superiori non esitarono di affidargli, appena professo, l’ufficio di cercatore di campagna nello stesso convento del santo noviziato [in Morcone]. Disimpegnò con amore edificante l’ufficio della santa obbedienza fino al 1911, conciliando ed accrescendo verso l’abito cappuccino l’affetto dei secolari. Nel medesimo ufficio scrupolosamente disimpegnato anche nel nostro convento di Montefusco, fra Camillo mostrò le sue ottime qualità di religioso modesto ed instancabile. Tutti i buoni concittadini di quelle contrade ne compiansero la perdita come di uno di famiglia, che ha saputo amare, confortare, beneficare […] .
Alessandro da Ripabottoni e Lino da Prata, proponendo per intero il testo del tema, leggono in chiave autobiografica e vocazionale il componimento scolastico svolto nel 1902 dal piccolo Francesco, intitolato Curioso sogno di un pastorello , e lo interpretano come espressione del suo desiderio, ancora non esaudito, di fare ingresso in noviziato .
In quest’autografo lo scolaro narra di un adolescente di nome Fernando che, non potendo ancora entrare in convento per vivere da frate, come avrebbe voluto, una notte sogna di esservi giunto. Il “pastorello sognatore” qui descrive la vita di convento in un clima, direi, festoso e immerso nella gioia del semplice lavoro campestre, alternato alla preghiera liturgica comune, che il piccolo Forgione qui descrive con toni solenni.
Di questo componimento scolastico colpisce un elemento, cioè il termine “frate” che il piccolo Forgione adopera per designare lo stato religioso, un termine non adoperato nel dialetto e nel linguaggio corrente campano e sostituito più spesso con “monaco”, usato indifferentemente per qualsiasi religioso. Ciò indica che qualcuno aveva già spiegato, probabilmente, la differenza terminologica all’adolescente Francesco tra i frati, che conducono vita fraterna in povertà, preghiera e apostolato, (francescani, domenicani, ecc.), e i monaci, generalmente più ritirati, che abitano nei monasteri o nelle abbazie (benedettini, certosini, ecc.) e coltivano la perfetta vita comunitaria alternando preghiera e meditazione a lavoro. Così egli scrive nel componimento scolastico: «Fernando era un povero pastorello, che agitava in mente il pensiero di farsi frate; ma i genitori erano poveri e non potevano corrispondere alla sua intenzione. Egli una notte, mentre dormiva saporitamente, sognò di essere in un monastero, vestito già da frate ».
La vocazione religiosa sembra sia stata avvertita da Francesco di Pietrelcina sin dai più teneri anni . La chiamata all’Ordine si sarebbe fatta sempre più chiara nella sua vita col succedersi degli eventi: uno di questi momenti decisivi per la scelta dello stato di vita del piccolo Pietrelcinese, secondo la testimonianza di Lucia Iadanza , sarebbe stato l’ascolto di una predica su san Michele tenuta dal sacerdote don Giuseppe Orlando di Pago Veiano, il giorno della festa dell’Arcangelo, nella chiesa attualmente dedicata a Sant’Anna in Pietrelcina . Secondo diverse biografie su padre Pio, uno dei motivi determinanti della sua vocazione religiosa furono gli studi iniziali dell’adolescente Forgione. Francesco cominciò a studiare privatamente sotto l’insegnamento di don Domenico Tizzani e in seguito gli fece da maestro don Angelo Caccavo . Nello stesso periodo papà Grazio emigrò negli Stati Uniti e Francesco, il 5 ottobre 1901 invia una lettera a suo padre nella quale si scusa del danaro speso in un pellegrinaggio a Pompei . Così egli giustifica questo suo gesto: «Circa la lagnanza fatta alla mamma per la mia andata a Pompei, avete mille ragioni; però dovete pensare che l’anno venturo, a Dio piacendo, finiranno tutte le feste e i divertimenti per me perché abbandonerò questa vita per abbracciare un’altra migliore […]» . Forse la descrizione così colorita della vita religiosa che leggiamo nel tema scolastico su citato giustifica l’affermazione al padre Grazio, secondo cui la sua entrata in convento sarebbe stato un passaggio a «vita migliore».
La vita religiosa nelle mura francescane è quindi per Francesco: un’altra migliore, nella quale finiranno tutte le feste. Francesco dunque, nel momento in cui scrive al papà, pensa al tenore di vita nell’Ordine come a qualcosa di austero, ma che gli sembra riservare gioie più grandi di quelle lasciate o, forse, l’espressione «vita migliore» si riferisce alla qualità spirituale dello stato di vita religioso.
Nella storia vocazionale di padre Pio non sembra che la chiamata alla vita religiosa sia distinta da quella al sacerdozio ministeriale. Esaminando, tuttavia, i due aspetti del nostro racconto, potrebbe darsi che l’attrazione per la vita religiosa francescana sia avvenuta in modo ordinario, invece le prime rivelazioni sulla sua missione sacerdotale si siano svolte in modo mistico e straordinario. Il primo aspetto insegna come Dio chiami anche attraverso le circostanze quotidiane, quali per esempio la testimonianza eloquente di semplicità evangelica di fra Camillo dalla barba austera e dall’aspetto ilare, tipico frate cercatore di un tempo, il ricorso al convento per assicurarsi gli studi, la fede tradizionale dei genitori, l’omelia di un sacerdote in una solennità particolare, ecc. Dio non disdegna mai di adoperare questi semplici mezzi della storia per ispirare i suoi desideri, per realizzare i suoi piani. Ma oggi, nelle nostre famiglie e nella società, quanto spazio diamo al Bene per potersi esprimere nella storia e per poter chiamare i nostri piccoli ad una «vita migliore»?


di Fr. Giuseppe Maria Antonino

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